“Non si parlava d’altro che di lui, di Gramigna, di quella caccia accanita, di quella fuga disperata… egli solo, Gramigna, non era stanco mai, non dormiva mai, fuggiva sempre, s’arrampicava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia…”.
Nessuno, come Giovanni Verga e Luigi Pirandello, ha saputo raccontare con uguale intensità e pregnanza la Sicilia degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il primo, esponente principale della corrente verista, attraverso “istantanee” capaci di rendere oggettivamente la dura realtà delle classi più umili; il secondo, interprete di un’inedita visione del mondo, attraverso lo svelamento dell’insanabile contrasto tra verità e finzione che sta alla base delle relazioni umane e dell’organizzazione stessa della società.
Entrambi delineano così personaggi indimenticabili, destinati a restare per sempre nell’immaginario del lettore: il giovane e sfortunato Malpelo, il brigante Gramigna, il bracciante Mazzarò, don Lollò Zirafa e il conciabrocche Zi’ Dima, il povero minatore Ciàula, inebetito dal buio della cava e da una vita di stenti e sofferenze.
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