In questa nostra società tecnologica, dominata dalla bronzea legge dell’affarismo e del successo e tendente a ridurre l’Uomo e i suoi valori a cose, da quantificare o da valutare come merce di scambio, rischia, all’inizio di questo Terzo Millennio, di essere soffocato il patrimonio di idee e di valori, di credenze e di tradizioni che le culture a noi precedenti ci hanno consegnato.
Di qui la necessità di proporre un’Antologia della ricerca antropologica, volta, da un lato, a «ri-conoscere» quelle radici perse (ma non perdute per sempre) delle nostre comunità, dall’altro ad ipotizzare nuovi strumenti conoscitivi adatti al nostro tempo, in cui appare difficile indagare e progettare.
Se per avventura i nostri giovani destinatari, abituati ai viaggi sulla rete con gli strumenti dei social media, volessero ripercorrere questo nostro itinerario (che gli antropologi hanno condotto sul campo e sulla pagina), forse scoprirebbero con sorpresa scenari imprevisti e inusuali concetti. Un universo nuovo (anche se studiato in un tempo lontano, almeno dall’Ottocento ad oggi) si squadernerebbe dinanzi ai loro occhi curiosi. E attraverso una carrellata veloce tra le pagine dei classici dell’Antropologia percepirebbero mutevoli intrecci di sacro e profano e arcane risonanze di sommerse culture, mute eppur eloquenti, «mitiche» storie e affascinanti «riti», in cui si manifestano i miti stessi. Ed ancora simboli per entrare negli archetipi del nostro immaginario e, infine, suggestioni per comprendere la nostra vita quotidiana.
Nessuno di questi grandi studiosi (ipotizziamo) vuole proporci di ritornare a schemi conoscitivi o valori del passato, ma forse tutti vogliono suggerirci che l’aspetto, socializzante e problematico al tempo stesso, dell’approccio alla realtà (insito in culture diverse dalla nostra) può insegnarci ancora qualcosa.
Questa Antologia tende a prospettare il valore del dialogo con l’Altro, la necessità dell’apprendere più che dell’insegnare, l’opportunità di valutare più a fondo il significato generale della cultura stessa, che – come disse nel XII secolo Bernardo di Chartres – consiste nel riconoscere che «siamo tutti nani sulle spalle di giganti».
Altrettanto calzante ci sembra un’affermazione del poeta Roberto Mussapi, che ha scritto: «Meraviglioso il tam tam, meravigliosa l’auscultazione indiana del suolo. Non meno stupefacente il telefono, la radio, dove le voci giungono dentro di noi dal buio; e anche gli sms, pur nella loro rozza espressività preletteraria, evocano una voce nota o sconosciuta. Ognuno viva con gioia le proprie magie. Perché nessuna magia, il cellulare o il tam tam, è totalmente nostra o totalmente altrui, ma è inscritta con noi tutti in una magia ulteriore e imperscrutabile».
Insomma, la meraviglia dinanzi all’unica Anima del mondo e la fede nella tecnologia potrebbero non essere più antitetiche in una visione di antropologica apertura. E ragione e passione potrebbero cooperare a trovare soluzioni più adatte alla sopravvivenza di questa creatura, terribile e splendida, chiamata Uomo. Forse tutti noi (e non solo i giovani) abbiamo bisogno di ricorrere razionalmente al cervello per far pulsare con più calore il cuore e vivere con maggiore razionalità di obiettivi le proprie passioni.